Ci sono periodi dell’anno in cui la montagna cambia voce. L’aria si fa più tesa, il silenzio si riempie di un’eco profonda, ancestrale. È il bramito del cervo, il suono che ogni autunno risveglia in me una magia antica, la stessa che anni fa mi ha fatto innamorare di questo genere di fotografia. È lì, tra quelle note selvagge che vibrano nel buio, che ho capito quanto sia profondo il legame tra uomo, luce e natura.
Ogni stagione del bramito è un rituale. Le sveglie suonano quando il mondo dorme ancora, molto prima dell’alba. Esco di casa con gli occhi pesanti ma il cuore già in cammino. Lo zaino colmo, la mia fidata Canon R5 e il Sigma 150-600 che insieme pesano come una promessa: quella di non perdere neanche un istante. Attrezzatura ingombrante, difficile da maneggiare, ma indispensabile per catturare la magia che si consuma nel silenzio dei boschi.
Raggiungere la location è ogni volta un piccolo viaggio. La torcia che danza tra i sentieri, il freddo che pizzica le mani, il rumore delle foglie umide sotto gli scarponi… ogni passo è un avvicinarsi a uno spettacolo che non si abitua mai. Poi mi fermo, respiro, e aspetto. L’alba è ancora lontana, ma nel bosco qualcosa si muove già.
È in quelle ore sospese che avvengono gli incontri che restano scolpiti dentro.
Come quella mattina in cui, mentre osservavo un giovane cervo che si muoveva tra i cespugli, un bramito improvviso ha spaccato l’aria alle mie spalle. Un suono profondo, potente, vicinissimo. Ho sentito la pelle rizzarsi. Mi sono girato lentamente e me lo sono trovato davanti: un esemplare dominante, comparso dal nulla a pochi metri da me, imponente e silenzioso, con lo sguardo di chi appartiene alla foresta molto più di quanto noi potremo mai fare. È stato un attimo, un soffio, ma mi è rimasto addosso per giorni.
Non molto tempo dopo, il destino ha deciso di lasciarmi un altro dono. In una radura illuminata da un’alba timida, mentre il bosco si risvegliava piano, è apparso lui: un vero re. Nove punte che tracciavano nell’aria la forma di una corona naturale, un portamento fiero e un’aura che sembrava sollevare il silenzio stesso. Era la prima volta che mi trovavo davanti un esemplare del genere. Le mani tremavano, il cuore correva, l’obiettivo pesava più del solito… eppure era come se tutto si muovesse alla velocità del respiro. Uno scatto, poi un altro, e sapevo che stavo imprimendo nella memoria molto più di un’immagine.
Ogni uscita, ogni attesa, ogni scatto racconta un frammento di questo incredibile periodo dell’anno. È una danza tra fatica e meraviglia, tra gelo e bellezza, tra attrezzatura pesante e momenti leggeri come un soffio di vento. Ed è per questo che, quando l’autunno finisce, inizio già a contare i giorni. Perché so che presto il bosco tornerà a parlare, che il bramito risuonerà ancora tra le valli, e io sarò lì, con la stessa emozione della prima volta, pronto ad ascoltare.



















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